La velocità della luce è variabile?

Elio Fabri

Ultima revisione: 28-8-02


1. Premessa

C'è stato molto rumore di recente circa presunte prove che la velocità della luce sia cambiata lungo la vita dell'Universo: cercherò di chiarire qui di che si tratta.
Come sempre accade in questi casi, le notizie apparse sulla stampa contengono dei brandelli di verità, e molti fraintendimenti. Inoltre un lavoro complesso, teorico e sperimentale, è stato nascosto dietro uno slogan d'effetto ma privo di significato: "la velocità della luce è cambiata".

Perché dico "privo di significato"? Perché in realtà non ha senso un confronto assoluto di grandezze fisiche in punti separati nello spazio e nel tempo: ogni grandezza fisica è misurata rispetto a dei campioni di misura, e occorrerebbe preventivamente essere certi che i cmapioni usati nei due punti siano gli stessi.
Perciò asserzioni del genere (che pure si fanno) hanno senso solo nell'ambito di precise teorie, dove si assumano ipotesi circa l'invariabilità di qualche grandezza: per es. appunto la velocità della luce, come è nel quadro della relatività generale. Se si vuol fare confronti liberi da ipotesi, ci si deve ridurre a quelle grandezze che non richiedono campioni, ossia alle grandezze adimensionali (numeri puri).
Tornando al nostro argomento, le misure su cui tutto si basa, dovute a Webb e coll., sono infatti misure della costante di struttura fina, e si parla, con tutte le cautele necessarie, di indicazioni di una sua variazione nel tempo.

Concludo questa premessa con un invito a non aspettarsi dallo scritto che segue più di quello che può dare. La ragione è che sto parlando di ricerche in corso, e per quanto mi sia sforzato di consultare le pubblicazioni più recenti, non c'è alcun dubbio che la situazione è destinata a evolvere rapidamente. Perciò parte di quanto ho scritto potrebbe risultare superato, o per lo meno da riesaminare, nell'arco anche di pochi mesi.
Può darsi che mi riesca di tenermi aggiornato, ma non posso prometterlo...

2. Che cos'è la costante di struttura fina?

La risposta in termini di definizione è semplice: nel sistema di unità di Gauss è definita come a = e2/hc (h sta qui a indicare la solita costante di Planck divisa per 2p).
È facile verificare che si tratta appunto di un numero puro, il cui valore è circa 0.0073 (più spesso si usa 1/137, che è sempre un valore approssimato). È anche facile verificare che a è l'unico numero puro che si può costruire con quelle costanti fondamentali.; meno facile spiegarne significato e importanza.

Un esempio può essere questo: è noto che mc2 misura l'energia di riposo di un particella (per un elettrone vale circa 0.51 MeV). Consideriamo ora l'energia di ionizzazione Ei dell'idrogeno, che vale circa 13.6 eV: il rapporto di queste due energie è un numero puro, e ci si aspetta che abbia qualcosa a che fare con a: infatti il detto rapporto vale circa 2.7x10-5, che è a2/2. La coincidenza non è casuale: basta prendere la formula dell'energia di ionizzazione per verificarlo.
Altro esempio: sempre nell'ambito della fisica atomica, sono importanti tre lunghezze: il raggio classico dell'elettrone e2/mc2; la lunghezza d'onda Compton h/mc; il raggio di Bohr h2/me2. Lascio a chi legge di verificare che i loro rapporti sono proprio a.
Ma il primo esempio è più interessante: permette di vedere a come il fattore di scala dell'interazione elettromagnetica. Infatti fa passare dall'energia propria dell'elettrone alla sua energia di legame in un atomo.

C'è da sapere perché si chiama "costante di struttura fina": il nome è importante perché ha a che fare con le misure di cui stiamo parlando. Torniamo all'atomo d'idrogeno, e ai suoi livelli energetici. In una prima approssimazione, questi sono dati dalla semplice formula En = -Ei/n2, dove Ei è l'energia di ionizzazione già vista, e n assume i valori interi positivi.
Ma questa è appunto una prima approssimazione: misure più accurate mostrano (e poi la teoria giustifica) che quei livelli hanno una struttura fina, ossia ogni livello consiste in realtà di un multipletto di livelli, di separazione piccolissima.
Non sto a dare formule, che non ci servono, ma dico solo quello che già avrete intuito: il rapporto fra la separazione nei multipletti e l'energia di ionizzazione è di nuovo dell'ordine di a2. Il che vuol dire che le separazioni sono dell'ordine di 10-4 eV: appunto molto piccole.
La stessa struttura a multipletti appare in tutti gli atomi, ed è ad es. quella che produce il famoso doppietto della "riga gialla" del sodio: due righe spettrali vicine, a 589.0 e 589.6 nm.

3. Che cosa è stato realmente misurato

Le misure riguardano le righe di assorbimento prodotte, nella luce proveniente dai quasar, da nubi intergalattiche frapposte tra il quasar e noi.
Per i nostri scopi non importa molto sapere che cos'è un quasar (detto anche QSO: "quasi stellar object"). Si ritiene che si tratti di un nucleo galattico estrememente attivo, ossia con un fortissima emissione di radiazione, probabilmente dovuta alla cattura di materia da parte di un buco nero al centro della galassia.
Per ora però ciò che conta è solo che i quasar sono molto distanti (miliardi di anni-luce) ed emettono radiazione nel visibile e nell'ultravioletto.
Quanto alle nubi intergalattiche, si tratta di gas interposto fra le galassie, che in certe regioni è più concentrato della media. Il gas consiste in prevalenza d'idrogeno, ma può contenere anche altri elementi, e perfino metalli pesanti, risultati dell'esplosione di supernovae. Questi metalli pesanti sono essenziali per le misure di cui stiamo parlando.
La luce del quasar ha uno spettro continuo, e quando attraversa la nube viene assorbita in corrispondenza delle lunghezze d'onda caratteristiche degli atomi e ioni presenti nella nube. Ciò che si misura sono appunto le lunghezze d'onda delle righe di assorbimento.

4. Il redshift cosmologico

Per capire l'interpretazione delle misure, occorre ricordare che la luce che ci arriva da oggetti lontani subisce una variazione di lunghezza d'onda, nota col nome di "redshift cosmologico". Se si accettano i modelli cosmologici basati sulla relatività generale (attenti a questo punto!) la legge del redshift è molto semplice: il rapporto fra la lunghezza d'onda ricevuta e quella emessa è uguale a quello fra i parametri di scala ("raggi" dell'Universo: v. "La cosmologia dall'A alla B") ai tempi di arrivo e di partenza della luce. Dato che l'Universo si espande, il raggio cresce, e così fanno anche le lunghezze d'onda: per questo si parla di "redshift". Si definisce parametro di redshift z l'espressione (lr - le)/le.
Ne segue anzitutto che la luce del quasar è soggetta a un forte redshift: questo è importante per lo studio dei quasar e per la storia della loro scoperta (circa 40 anni fa) ma non per noi. Sono conosciuti quasar con z > 5; il record sembra essere 5.8.
È invece importante che anche la nube assorbente è distante, e quindi anche la luce assorbita ha un redshift, che dipende dalla distanza della nube. Sfruttando questo fatto, si riesce in primo luogo a misurare il redshift (per confronto con le righe spettrali misurate in laboratorio) e poi a studiare in dettaglio se lo spettro di assorbimento è esattamente lo stesso di quello degli atomi nel laboratorio.

5. Spettri di assorbimento e ... costanza delle costanti

Vediamo meglio quest'ultimo punto.
Facciamo, per cominciare, l'ipotesi che tutto resti invariato lungo l'evoluzione dell'Universo: tutte le costanti fondamentali, quindi tutta la struttura e le proprietà della materia: particelle, nuclei, atomi...
Consideriamo ora un qualsiasi atomo o ione: per es. Fe+, utilizzato da Webb e coll. In laboratorio misuriamo con cura tutte le righe di assorbimento di questo ione, poi confrontiamo le misure con quelle ricavate dall'assorbimento di una certa nube extragalattica, che sta a una certa distanza da noi. Che cosa ci aspettiamo di vedere?

Fissata la distanza, è fissato il tempo di propagazione della luce, quindi è fissato il redshift: ne segue che tutte le righe di assorbimento dovranno avere esattamente lo stesso z. E questo dovrà valere non solo per quel particolare ione, ma per tutti gli atomi e ioni presenti e misurati.
Inutile dire che le misure sono tutt'altro che semplici, che ci sono innumerevoli cause di errore, che quindi l'attendibilità del lavoro dipende da quanto abili sono i ricercatori nel tener conto di tutto; su questo non posso insistere (anche perché non ne sarei capace...).
Detto tutto ciò, la prima, rozza conclusione dei lavori di Webb et al. è che il redshift osservato non è lo stesso per tutte le righe.

A questo punto facciamo un'altra ipotesi: che qualcuna delle costanti non sia costante, per es. e (carica dell'elettrone). È ovvio che le energie dei livelli dipendono da e, e a prima vista si potrebbe pensare che tale variazione, e la conseguente variazione delle lunghezze d'onda delle transizioni, sia facilmente osservabile e spieghi appunto ciò che si vede; ma le cose non sono così semplici...
Pensiamo infatti all'atomo d'idrogeno per semplicità (ma le cose vanno allo stesso modo per gli altri atomi). Ci basta l'antico modello di Bohr per capire quello che succede: se cambia e, cambieranno tutti i raggi delle orbite, che sono inversamente proporzionali a e2; e cambieranno tutte le energie dei livelli, proporzionalmente a e4. Dunque tutte le righe spettrali avranno lunghezze d'onda modificate, in modo inversamente proporzionale a e4 (per un fotone energia e lunghezza d'onda sono inversamente proporzionali!)
Ma una tale alterazione delle lunghezze d'onda è del tutto simile a quella prodotta dal redshift, per cui non potremmo distinguerla dal redshift stesso. In altre parole, una variazione di e simulerebbe una differente distanza della nube. E dato che non abbiamo un modo indipendente di misurare la distanza, siamo bloccati...

È facile vedere che esattamente la stessa cosa capita se supponiamo che sia un'altra qualsiasi costante a cambiare, o anche più d'una. Allora non ci sono speranze? E che cosa hanno misurato Webb e C.?

6. Ci salva la struttura fina...

Per fortuna, le cose non stanno proprio come ho appena detto: il cambiamento in scala di tutte le energie e di tutte le lunghezze d'onda non è esatto, grazie alla struttura fina. Infatti mentre le energie nel modello di Bohr (e nella prima approssimazione della meccanica quantistica) sono proporzionali a e4, le separazioni di struttura fina vanno come e8; quindi una variazione di e non modifica proporzionalmente tutti i livelli: la struttura fina cambia di più.
Ed ecco la soluzione: usare le lunghezze d'onda principali per stimare il redshift, e poi controllare la struttura fina. Se questa non rispetta il redshift, vuol dire che qualche costante è cambiata.

Questa non è un'idea nuova: i primi tentativi risalgono addirittura agli anni '50 dello scorso secolo, ma furono infruttuosi fino a poco tempo fa, nel senso che a risultava costante entro gli errori di misura.
Webb et al. hanno trovato un modo per rendere le misure più sensibili, confrontando gli spettri di diversi ioni (inizialmente Mg+ con Fe+, poi anche altri) e guadagnando così un fattore 10, il che ha permesso di scoprire la variazione di cui si sta parlando.

Anche se forse rischio di complicare troppo il discorso, vorrei aggiungere che non bastava fare misure precise, e per due ragioni. La prima è che occorreva avere dei termini di confronto, ossia delle buone misure di laboratorio. Sembrerà strano, ma la situazione attuale è che il limite sperimentale sta proprio qui: per sfruttare a pieno i dati osservati occorrerebbero misure più precise delle righe spettrali in laboratorio...
Ma c'è una seconda ragione. Per valutare la variazione (eventuale) di a bisogna sapere come verrebbero modificate tutte le lunghezze d'onda da tale variazione, ossia occorre calcolare teoricamente i livelli degli atomi o ioni interessati. Dato che questi calcoli non esistevano, o almeno non sufficientmente accurati, Webb e coll. si sono dovuti sobbarcare anche questo compito.

7. Risultati delle osservazioni

Come sempre accade nelle ricerche di frontiera, le prime misure non permettono una decisione assolutamente certa. Al momento presente le misure sembrano indicare una variazione di a nettamente al difuori degli errori per redshift tra 1 e 2, mentre non sembra esserci variazione per redshift minori (e questo è ragionevole, trattandosi di nubi vicine, ossia attraversate dalla luce "poco tempo fa") ma neanche per redshift maggiori (e questo è molto più strano, però gli errori sono parecchio più grandi).
Quindi qualcosa, che io chiamerei "un forte indizio", c'è; ma l'andamento col redshift è strano e potrebbe nascondere qualche errore sistematico. Ovviamente occorreranno altre misure per risolvere l'incertezza. Tanto per fissare l'ordine di grandezza, gli autori stimano una variazione relativa di a un po' minore di 10-5.

Dunque è dimostrato che la carica dell'elettrone, o magari qualche altra "costante", è cambiata nel tempo? Neanche per idea...
Ho già detto sopra che in nessun caso è possibile separare la variazione di una costante da un'altra; che la sola cosa che può essere accertata è una variazione di una grandezza adimensionale. Perciò la costante di struttura fina, come vedete, gioca due ruoli: primo, è solo grazie alla struttura fina che è possibile scoprire qualcosa; secondo (ma in realtà la ragione è la stessa) la sola cosa che si arriva a dimostrare è una variazione nel tempo di a.
Infatti, non a caso, tutti gli articoli parlano nel titolo di "variazione nel tempo della costante di struttura fina".

8. Interpretazioni teoriche

Manco a dirlo, i teorici si sono subito buttati su questi risultati, per tentarne un'interpretazione. Del resto, la possibilità di una variazione di qualche costante fondamentale (o meglio, delle loro combinazioni adimensionali) è storia antica: si attribuisce la prima idea a Dirac (1937).
Nel corso degli ultimi tre anni, ossia da quando si parla delle prime misure di Webb et al., sono usciti almeno 6 lavori teorici sull'argomento (senza contare quelli di cui non sono a conoscenza...) e seza dubbio altri ne usciranno a breve.

Tutti girano attorno a un'idea: modificare in un modo o nell'altro le equazioni della RG. Fondamentalmente due strade sono state seguite: una in cui si assume variabile nel tempo la carica e dell'elettrone, e un'altra in cui invece variano insieme c e h. Dato ciò che ho già detto circa l'impossibilità di distinguere, può sembrare strano che siano state proposte teorie delle due forme: spieghiamo brevemente il punto.
Il fatto che solo la variazione di a ha significato, equivale a dire che una teoria in cui variano h e c può essere riformulata come una teoria del tutto equivalente in cui varia e. Ma questo non significa che non possano esistere due teorie non equivalenti, una delle quali viene espressa più semplicemente nella forma in cui varia e, e l'altra nella forma in cui variano c e h. Dato che le due teorie sono diverse, possono avere conseguenze diverse, prevedere diversi effetti osservabili, spiegare più o meno bene ciò che si sa.
Questo è dunque il problema aperto oggi ai teorici, sempre che si vogliano dare per certi i risultati sulla variazione di a.

In questo quadro, che senso hanno le notizie apparse sulla stampa? Si tratta solo di questo: che in un numero recente di Nature è apparso un brevissimo articolo di Davies et al. che porta argomenti a favore della variazione di c. Mi sembra difficile qui spiegare quegli argomenti, anche perché la brevità dell'articolo non lo rende di facile interpretazione.
Però tutto quanto ho detto fin qui dovrebbe far capire che in realtà non ci possono essere argomenti a favore di una variazione di c: al più ci saranno argomenti secondo i quali, se si tengono ferme certe ipotesi, allora una variazione di a richiede che sia c ad essere variabile. Ciò che non è facile capire dall'articolo (o almeno, io non ci sono arrivato...) è quali siano le ipotesi aggiuntive.

9. Un commento personale

Non c'è dubbio che se la variazione di a risulterà confermata, bisognerà adattare le nostre teorie per tenerne conto. Però il metodo finora seguito, di "mettere una pezza" alle equazioni di Einstein, mi lascia tutt'altro che soddisfatto.
Le equazioni di Einstein hanno una loro eleganza strutturale, e soprattutto una semplicità nelle motivazioni fisiche, che con queste modifiche vanno perdute, come del resto già accade col "termine cosmologico". Certo, se le equazioni di Einstein non sono compatibili con le osservazioni, non c'è niente da fare: occorrerà metterci le mani... Resta da vedere se la strada che mi pare venga seguita sia quella giusta.
Ma dato che non ho una strada migliore da proporre, forse questa critica non dovrei neppure farla...

10. Conclusione

Riassumendo:
1) ci sono forti indizi di una variazione di a, anche se il quadro non è troppo chiaro
2) esistono diverse proposte teoriche, miranti a modificare le equazioni della RG per tener conto di questo fatto.

Per finire, una domanda: perché allora la stampa si è "buttata" sulla variazione di c? Mi pare chiaro: perché è la cosa più "popolare", perché l'argomento della costanza della velocità della luce è al tempo stesso comprensibile anche a un livello infimo di conoscenze scientifiche, e capace di "fare rumore": Einstein si è sbagliato? dobbiamo buttare la relatività? Eccetera eccetera...
Quanto tutto ciò abbia a che fare con la realtà della ricerca scientifica, non ho bisogno di spiegarlo...