La cosmologia dalla A ... alla B

Elio Fabri

Ultima revisione: 13-5-00


Quarta puntata

Le equazioni di Einstein

Ora che abbiamo per così dire sistemato la scena, bisogna cominciare a girare... Voglio dire che bisogna far evolvere il nostro Universo, e vedere come cambiano tutte le grandezze fisiche e geometriche interessanti: in particolare il raggio R e la densità della materia. Ho già detto che la densità va come l'inverso del cubo di R, quindi questo è tutto ciò che occorre sapere.
Se si trattasse di far muovere non l'Universo, ma un pianeta (poniamo) chiederemmo quali sono le "equazioni del moto", che in meccanica prendono la forma di equazioni differenziali (chi non sa cosa sia un'eq. differenziale non si spaventi: non ha importanza, non ne faremo uso...). Analoga richiesta ci si fa per l'Universo: quali sono le sue equazioni del moto?
La risposta la sapete tutti: sono le equazioni di Einstein, da lui ricavate per la prima volta alla fine del 1915.
Dato lo scopo di questo scritto, non proverò a scrivere le equazioni, neppure nella forma abbastanza semplice che assumono nel nostro modello. Mi limito a dire che legano il modo di variare del raggio R nel tempo alla densità e alla pressione della materia presente. Nel nostro caso la pressione si trascura, e la densità va come 1/R3.
Ci sarà poi da tener conto delle tre possibilità: k=0 (piatto), k=+1 (chiuso), k=-1 (aperto).
Risolvendo le equazioni di Einstein nei tre casi si trovano tre diversi andamenti per il raggio:
- Universo piatto: R cresce sempre, ma sempre più lentamente, con velocità che tende a zero.
- Universo chiuso: R cresce fino a un massimo, poi torna a decrescere simmetricamente.
- Universo aperto (iperbolico): R cresce sempre, con velocità che tende a un limite costante, pari a c.
Ci sarebbero parecchie cose da chiarire e precisare, ma non posso permettermelo. Dico solo che nel selezionare le soluzioni possibili ho fatto già uso di un risultato delle osservazioni (il primo dato della cosmologia osservativa, la scoperta di Hubble): al momento presente l'Universo è in espansione.

Il termine cosmologico

È importante a questo punto raccontare una storia che riguarda Einstein e risale a prima della scoperta di Hubble. Per quanto a noi oggi sembri incredibile, all'epoca in cui Einstein lavorava alla RG l'idea di un Universo in evoluzione non era ancora entrata nel modo di pensare degli scienziati. Va anche detto che le conoscenze sull'Universo erano molto molto inferiori a quelle odierne; basti pensare che non era ancora accertato che le galassie come M31 (la cosiddetta "galassia di Andromeda") fossero davvero esterne e distanti dalla Galassia con la G maiuscola, quella entro cui ci troviamo...
Sopravviveva perciò un antico pregiudizio metafisico, secondo cui l'Universo doveva essere statico, sempre uguale a se stesso.
Ora le equazioni di Einstein, come lui le aveva ricavate, non permettevano una tale soluzione: c'erano le tre possibilità, ma in tutte e tre l'Universo cambiava raggio nel tempo, e anche la materia si rarefaceva o si condensava. Einstein ritenne perciò di aver sbagliato qualcosa, e corresse le sue equazioni originarie aggiungendovi un termine (il famoso "termine cosmologico") che appunto rendeva possibile una soluzione statica.
Solo dieci anni dopo, o poco più, Hubble dimostrava con le sue osservazioni che l'Universo non è statico: Einstein si affrettò a rinnegare il termine cosmologico, che del resto non gli era mai piaciuto perchè guastava la semplicità della teoria (se posso permettermi, non piace neanche a me...). In seguito, Einstein lo avrebbe definito "il più grande errore della mia vita".
In tempi recenti il termine cosmologico è tornato in auge, ma di ciò riparleremo più avanti.

Ma che effetto ha il termine cosmologico sull'evoluzione dell'Universo? Purtroppo quanto più si complicano le equazioni, tanto più diventa difficile spiegarne i risultati a parole...
Cominciamo col dire che il termine cosmologico contiene un coefficiente, detto "costante cosmologica" (CC), del quale non abbiamo alcun modo per prevedere il valore. È anche per questo che ad Einstein il termine cosmologico non piaceva: nelle sue equazioni non c'erano parametri arbitrari: ci figuravano solo la velocità della luce c e la costante di gravitazione universale G, entrambe grandezze ben note. Ecco perché era stato così importante che la teoria avesse saputo prevedere esattamente la precessione del perielio di Mercurio: non c'era spazio per scelte arbitrarie, o tornava o non tornava...
Se la CC è positiva, il termine cosmologico grosso modo equivale a una forza repulsiva, che quindi tende a far espandere l'Universo più rapidamente, o a farlo espandere in condizioni in cui si contrarrebbe se la CC fosse nulla. Viceversa se è negativa.
Si può capire che cosa succede. Prendiamo ad es. il caso dell'Universo chiuso: se aggiungiamo una CC positiva, può accadere che esso non sia più destinato a contrarsi di nuovo. Non solo: se la CC è abbastanza grande, può darsi che l'espansione risulti addirittura accelerata.
Altrettanta varietà si avrebbe con una CC negativa; non è il caso d'insistere...

Teoria e osservazioni

Una teoria scientifica non vale niente se non consente un confronto con le osservazioni, dal quale possa essere confermata o messa in dubbio. La teoria di Einstein non fa eccezione: il confronto è possibile, ma non è affatto facile. E non è facile neppure spiegare come si possa farlo...
Ci sono alcune cose che è possibile misurare, con maggiore o minore incertezza, ma in modo abbastanza diretto; altre informazioni invece si possono ottenere solo in modo assai indiretto. Anche per questo motivo quella della divulgazione è un'impresa disperata; ma viene non di rado resa impossibile dall'impreparazione di chi ci s'impegna, e dal desiderio di stupire, più che di far capire il procedere della ricerca scientifica.
Ma lasciamo stare le critiche, fin troppo facili, e cerchiamo di "pensare positivo", ossia di dare un contributo utile...

Il primo parametro cosmologico in assoluto che sia stato sottoposto a misura è la costante di Hubble, che dice quanto velocemente l'Universo si espande. Ci si arriva dal redshift cosmologico, ossia dal sistematico aumento delle lunghezze d'onda di tutta la radiazione e.m. che arriva dalle sorgenti lontane, in misura tanto maggiore quanto più sono lontane.
Questo redshift viene quasi sempre spiegato come un "effetto Doppler": un abbassamento della frequenza dovuto al moto di allontanamento della sorgente. Per motivi che purtroppo non posso attardarmi a spiegare, tale interpretazione apre una quantità di problemi, tanto che mi azzardo (rischiando di provocare proteste anche di "addetti ai lavori") a dichiararla sbagliata e basta.
È molto meglio appoggiarsi a una formuletta semplicissima: il rapporto fra la lunghezza d'onda all'arrivo e quella all'emissione è uguale al rapporto tra i valori di R ai due istanti.

Dato che l'Universo si espande, nel tempo che passa dall'emissione alla ricezione R cresce, e perciò la lunghezza d'onda ricevuta è maggiore.
Dato che il tempo trascorso è tanto più lungo quanto più lontana sta la sorgente, si capice che il redshift cresca con la distanza.
In prima approssimazione (per piccole distanze, dove "piccole" va sempre inteso su scala cosmologica...) il redshift è proporzionale alla distanza: è la legge di Hubble. La costante di proporzionalità è la costante di Hubble H.
La misura di H è sempre stata difficile, soprattutto perché occorre conoscere la distanza della sorgente. Sono stati escogitati numerosi metodi per stimare tale distanza, e la conoscenza della costante si è progressivamente raffinata, ma ancor oggi essa è nota con un'incertezza di ± 20%.

Un secondo parametro di cui si può dare una misura abbastanza diretta è la densità. Il modo più semplice si basa su un conteggio delle galassie e una misura della loro luminosità: infatti la luminosità di una galassia, se la si pensa formata prevalentemente da stelle, darà una stima della sua massa, perché per le stelle la relazione fra massa e luminosità è ben nota.
A questa prima idea si è dovuta apportare una correzione quando si è accertato che tutte le galassie contengono materia oscura, ossia non raccolta in stelle che emettono luce. Inoltre esiste altra materia oscura nello spazio fra una galassia e l'altra negli ammassi. Oggi si ritiene che questa materia oscura, la cui costituzione non è ancora nota, contribuisca alla densità circa 10 volte di più della materia luminosa.

La densità critica

Se si lascia da parte il termine cosmologico, dalle equazioni di Einstein segue che la decisione fra i tre tipi di Universo (chiuso, piatto, iperbolico) dipende dalla relazione che esiste fra la densità di materia (di energia) e la costante di Hubble. Se la densità è inferiore a un certo valore critico (dipendente da H) l'Universo è iperbolico, se è maggiore, è chiuso. Il caso di Universo piatto sta in mezzo, e si realizza solo alla densità critica.
Con qualunque stima della densità, anche tenendo conto della materia oscura, siamo ben sotto la densità critica, e quindi l'Universo dovrebbe essere iperbolico. Ma qui intervengono le misure più recenti, che sembrano raccontarci una storia diversa.

Sarà l'argomento della prossima puntata.


Torna all'indice generale Continua...