Relatività generale e paradosso dei gemelli

Elio Fabri

Ultima revisione: 3-3-01


Prima puntata

È ricorrente la discussione se il paradosso dei gemelli riguardi la relatività generale (RG) o la relatività ristretta (RR). Per capire la questione occorre rifarsi alla storia della RG, dove si trova l'origine di due diverse interpretazioni della teoria.

Nella sua ricerca, che inizia nel 1907, Einstein si pone l'esigenza di generalizzare la relatività anche ai riferimenti non inerziali, in quanto trova poco soddisfacente il ruolo privilegiato di questi.
La prima osservazione che fa, è che in un riferimento accelerato compaiono delle forze "apparenti" che hanno una caratteristica in comune con la gravità: quella di essere sempre proporzionali alla massa del corpo su cui agiscono.
Questa osservazione porta Einstein a formulare il famoso "principio di equivalenza", secondo cui la forza apparente in un riferimento accelerato è indistinguibile, a tutti gli effetti fisici, da una forza di gravità.
Ne segue che generalizzare la relatività ai riferimenti accelerati equivale a costruire una teoria relativistica della gravità.

A questo punto la storia prende due strade:
a) Poiché la trasformazione di coordinate tra riferimenti in moto arbitrario è più generale di quella tra riferimenti inerziali (la famosa trasformazione di Lorentz) l'obbiettivo di Einstein viene formulato così: scrivere tutte le leggi della fisica in forma valida in un sistema di coordinate arbitrario. È quello che si chiama il "principio di covarianza generale".
b) Da un'osservazione che per brevità non riporto, Einstein è indotto a pensare che in presenza di campi gravitazionali lo spazio-tempo non abbia più la metrica di Lorentz-Minkowski valida in RR: poiché i campi gravitazionali sono generati da masse, ne segue l'ipotesi che la presenza di masse incurvi lo spazio-tempo. Diventa perciò un obbiettivo della sua ricerca il trovare le leggi di questo incurvamento (quelle che saranno poi le "equazioni di Einstein").

Le due strade non sono separate, perché in uno spazio-tempo curvo non è più possibile usare semplici coordinate cartesiane, e in generale non ci sono sistemi di coordinate con un significato intrinseco, ossia che rispecchino direttamente le proprietà geometriche dello spazio-tempo. Tanto vale allora interpretare le coordinate come delle semplici "etichette" che contraddistinguono gli eventi.

Le due interpretazioni della RG cui accennavo sopra consistono in questo: c'è chi vede come aspetto caratteristico della RG l'adozione di coordinate arbitrarie e di sistemi di riferimento arbitrari; c'è invece chi vede come spartiacque il fatto che lo spazio-tempo sia o meno lorentziano.
Con la seconda interpretazione, non si sta facendo RG se si studiano situazioni fisiche in cui lo spazio-tempo è piatto (non incurvato), quali che siano le coordinate che si sceglie di usare. L'arbitrarietà della coordinate è vista come un fatto puramente matematico, che non ha alcun significato fisico.
Per la prima interpretazione invece, anche se lo spazio-tempo è piatto, se ad es. ci si mette in un riferimento accelerato siamo fuori della RR in quanto non possiamo più servirci delle trasformazioni di Lorentz. Inoltre gli esperimenti in un riferimento accelerato mostrano fenomeni "strani" che non si vedono mai in un riferimento inerziale. Mi riferisco ad es. all'impossibilità di sincronizzare orologi posti in punti diversi, o alla propagazione della luce, che non è più rettilinea.
I sostenitori della seconda interpretazione non negano naturalmente questi effetti, ma osservano che essi possono essere perfettamente spiegati descrivendo gli esperimenti da un riferimento inerziale, quindi senza uscire dalla RR. In altre parole, le proprietà fisiche dello spazio-tempo non sono affatto influenzate dall'adozione di un riferimento accelerato, e tanto meno lo sono dalla scelta di un sistema di coordinate piuttosto di un altro.

Per inciso, nella seconda interpretazione il principio di covarianza generale ha solo carattere matematico, non dice niente sulla fisica, e può altrettanto bene essere asserito nella fisica newtoniana; di solito non lo si fa, in primo luogo perché il carattere assoluto del tempo rende scomoda (ma non logicamente impossibile) l'adozione di una coordinata temporale diversa. Però è comune l'uso di coordinate spaziali diverse da quelle cartesiane, anche se nessuno usa parlare di principio di covarianza in tale contesto.

Qual è la posizione di Einstein in proposito? Come accade sempre a chi sta conducendo una ricerca che porta a nuove scoperte, non ci si può aspettare da lui una posizione netta: man mano che procede vede nuovi aspetti del problema. Senza dubbio però le sue esposizioni, anche relativamente tarde, fanno propendere verso la prima interpretazione.
In particolare Einstein asserisce più volte che per chi si metta in un riferimento accelerato (per es. rotante) lo spazio non è euclideo. Non posso intrattenermi qui su tale problema, ma segnalo che esso è ancora oggetto di discussione; il che vuol dire quanto meno che il punto di vista di Einstein non è oggi accettato pacificamente.

Anzi, mi sento di poter asserire che l'atteggiamento oggi prevalente tra i relativisti sia il secondo: la RG tratta della fisica della gravitazione, quindi dello spazio-tempo curvo. Tutto ciò che accade anche in uno spazio-tempo piatto è di competenza della RR. Non so se sia riuscito chiaro tra le righe, ma chi scrive aderisce interamente alla seconda interpretazione.

E ora veniamo al paradosso dei gemelli.

(Fine della prima puntata)


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